Alla luce dei recenti fatti che hanno riportato la Puglia all'attenzione delle cronache, Confagricoltura ritiene opportuno precisare la propria posizione, evidenziando innanzitutto che il caporalato non è un fenomeno preciso ed univoco e non riguarda soltanto la Puglia o il Meridione.
Come noto, la legge 29 ottobre 2016, n. 199 ha riscritto il reato di caporalato e ha introdotto il reato di sfruttamento del lavoro (che può anche prescindere dal caporalato), con inasprimento delle sanzioni penali e delle misure cautelari.
La nuova legge, si badi bene, contrariamente a quanto si percepisca dal suo titolo, si applica a tutti i settori produttivi senza alcuna esclusione; ciò, tuttavia, gli altri settori produttivi e le altre Organizzazioni professionali non hanno ancora percepito atteso che non vi è stata ancora un'occasione ispettiva o giudiziaria che ha evidenziato la predetta estensione.
Pur condividendo in linea generale l'intento perseguito dalla legge – ne sono prova i quattro avvisi comuni sottoscritti con i sindacati dei lavoratori - negli ultimi anni, Confagricoltura ha sempre contestato alcune delle misure ivi contenute, in particolare, le disposizioni di carattere penale che estendono la punibilità al datore di lavoro, a prescindere dall’intervento del caporale, a fronte anche di violazioni lievi e occasionali.
E, infatti, il nuovo reato si configura anche nell’ipotesi in cui i lavoratori siano stati assunti ed assicurati regolarmente, senza alcun intervento di soggetto intermediatore o caporale, se sussista almeno uno degli indici di sfruttamento individuati dal legislatore (retribuzione palesemente difforme dalle previsioni della contrattazione collettiva o comunque sproporzionata rispetto alla quantità e qualità del lavoro prestato; violazione delle norme in materia di orario di lavoro e di sicurezza sul lavoro).
E, peraltro, come già evidenziato, è sufficiente che ricorra uno solo di tali indici perché si possa configurare la condizione di sfruttamento, con le pesantissime sanzioni penali che ne conseguono (da 1 a 6 anni di reclusione, arresto obbligatorio in flagranza, controllo giudiziario dell’azienda, confisca dei beni anche per equivalente).
È vero che per configurare il reato di sfruttamento del lavoro è necessario anche che il datore approfitti dello stato di bisogno del lavoratore ma è altresì vero che lo stato di bisogno non è difficile da ipotizzare quando si tratti di lavoratori stagionali e discontinui, disoccupati per buona parte dell’anno, che percepiscono redditi contenuti e che spesso appartengono a categorie sociali considerate deboli sotto il profilo occupazionale (extracomunitari, ultracinquantenni, donne).
Piu' difficile è individuare - anche da parte degli organi di polizia - lo stato di bisogno. Ciò specie nell'ipotesi in cui l'operaio lavori di fatto tutto l'anno, magari percependo anche l'indennità di disoccupazione e goda anche di piccole proprietà intestate, tuttavia a suoi familiari, circostanza quest'ultima abbastanza frequente sopratutto in Provincia di Bari.
Sussiste dunque il concreto rischio che le sanzioni penali vadano a colpire non solo e non tanto i veri criminali, quanto anche i datori di lavoro che cercano di operare nel rispetto delle regole.
Comprensibile dunque l’atteggiamento fortemente critico assunto, sin dall’inizio, da parte di Confagricoltura, a tutela delle imprese agricole associate che occupano manodopera dipendente e che rischiano di incorrere in reati gravissimi a fronte di violazioni lievi e meramente formali.
Confagricoltura è stata infatti l’unica Organizzazione imprenditoriale agricola (e non) che ha avuto il coraggio di esporsi chiaramente, già nel corso dell’iter parlamentare, su un tema così scottante e difficile sul piano comunicativo.
Grazie all'intervento di Confagricoltura, contestualmente all'approvazione della legge, il Parlamento ha adottato ufficialmente numerosi ordini del giorno che impegnano l'organo esecutivo a monitorare l'applicazione della legge ed eventualmente a correggerla.
Anche dopo l'entrata in vigore della legge, l'azione di Confagricoltura è continuata. Confagricoltura è l'unica Organizzazione datoriale che si è esposta direttamente su un tema così delicato, che si presta a possibili strumentalizzazioni e che continua a segnalare le gravi criticità della legge n.199/2016, e a chiedere di apportare i necessari correttivi.
Anche se gli organi di vigilanza in questi primi anni di applicazione della legge hanno mantenuto un atteggiamento cauto, nella consapevolezza dei rischi connessi ad un'interpretazione rigida e formalista, resta comunque forte la necessità di un intervento correttivo che riconduca la previsione, anche nella sua formulazione letterale, alle finalità della legge.
I gravi fenomeni del caporalato e dello sfruttamento vanno perseguiti aspramente attraverso una migliore attività di intelligence da parte degli Organi di Vigilanza nella selezione delle aziende da ispezionare, cercando di concentrare l’attenzione su quelle imprese agricole che operano in modo completamente o parzialmente sommerso, a volte contiguo alla criminalità organizzata.
E, invece, ogni giorno si riscontra che le ispezioni si concentrano sui “soliti noti” ossia sulle imprese che operano alla luce del sole ed in trasparenza e che spesso vengono assoggettate a pesanti sanzioni per violazioni meramente formali o che riguardano gli inquadramenti contrattuali.
Occorre, insomma, maggiore attenzione da parte degli organi competenti a individuare le violazioni più gravi (lavoro nero, sfruttamento dei lavoratori, occupazione di clandestini, etc.) e un minor “accanimento” verso situazioni di presunta irregolarità meramente formale o che riguarda aspetti interpretativi della complessa normativa sul lavoro, come l’inquadramento contrattuale.
E' noto che l'attenzione sul tema si concentra nei periodi in cui vi è una necessità di occupazione di migliaia di operai ma si tratta di un periodo ristretto e limitato ad alcune fasi (acinellatura, raccolta del pomodoro e dell'uva) in cui è facile che tra le aziende sane si nascondano soggetti che operano in palese illegalità.
Non vi puo' essere dubbio alcuno che i recenti fatti accaduti nella provincia di Foggia siano inaccettabili e vadano combattuti con forza e senza incertezza alcuna. Ove, tuttavia, vi siano aziende note che occupano centinaia di lavoratori al giorno regolarmente denunciati, occorre verificare le posizioni con attenzione e senza enfasi.
In verità, ci si deve convincere che il settore agricolo necessita di una incisiva riforma del sistema previdenziale in quanto alcuni aspetti di irregolarità contestati nelle recenti vicende attengono piu' che ad intermediazione illecita o caporalato a fenomeni di pagamenti di retribuzioni in forma irregolare.
Tanto deriva dall'aspetto distorsivo del sistema: gli operai, raggiunta la soglia minima o massima utile al percepimento dell'indennità di disoccupazione, si rendono disponibili a lavorare - anche con regolare assunzione - ma senza alcuna denuncia delle giornate effettuate, inducendo l'azienda a pagamenti contanti irregolari.
Il fenomeno avviene proprio in questo periodo allorchè le aziende hanno piu' necessità di forza lavoro e, tuttavia, sono costrette a sottostare a questa condizione.
Le reponsabilità, dunque, sono di tutti, anche di chi segue il lavoratore nel sistema assistenziale (patronati e sindacati di ogni colore).
Occorre, quindi, una grande presa di coscienza e l'impegno di tutti a modificare il sistema.
- Michelangelo De Benedittis
Delegato Confagricoltura Bari
problematiche sindacali e previdenziali