700 anni dalla morte L'AGRICOLTURA AL TEMPO DI DANTE

Cultura
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Vissuto tra il 1265 (nacque a Firenze tra il 21 maggio ed il 21 giugno) ed il 1321 (morì a Ravenna nella notte tra il 13 ed il 14 settembre) Dante Alighieri si trovato a trascorrere la sua vita in pieno Basso Medioevo, com’è noto datato tra l'anno 1000 circa e la scoperta dell'America nel 1492, che è stato un periodo molto dinamico rispetto a quello dell'Alto Medioevo, durante il quale l'Europa aveva vissuto una profonda crisi, per cui nelle campagne prevaleva un'economia agricola feudale, le città erano spopolate, soltanto monasteri e castelli erano centri importanti, ma basati su un sistema di auto-sostentamento, cioè producevano beni per autoconsumo; infatti, a partire dall’XI secolo si verificò un po’ in tutta l'Europa una forte crescita economica che comportò lo sviluppo delle città ed una rinascita culturale, l’aumento della popolazione, come pure del commercio. Fattori rilevanti furono l'incremento demografico ed il rinnovamento dell’agricoltura, una vera e propria “rivoluzione agricola; pertanto, le produzioni aumentarono grandemente, favorite anche dalle migliorate condizioni climatiche, in quanto dopo un periodo molto freddo, tra il 1000 ed il 1300 si verificò una fase tanto calda al punto che i Vichinghi realizzarono delle fattorie addirittura in Groenlandia!

La Rivoluzione agricola.

Determinanti furono le innovazioni di carattere tecnico che permisero l’aumento della produttività delle maggiori superfici coltivabili che furono rese disponibili grazie ai disboscamenti e alle bonifiche delle aree acquitrinose effettuate per iniziativa dei proprietari terrieri. Tra l’altro furono ideati diversi strumenti, come l’aratro pesante e l’erpice, per lavorare meglio i terreni, ed il giogo frontale per i buoi, il collare a spalla e la ferratura dei teneri zoccoli dei cavalli, per proteggerne l’integrità, per aumentare l’efficienza del lavoro animale. Grazie alle innovazioni furono ideati nuovi modelli di gestione delle coltivazioni, come la “rotazione triennale” e la “Piantata”. La Rotazione triennale sostituì un po’ dappertutto il sistema della rotazione biennale, in uso nel mondo romano; in concreto, diviso in tre parti, invece di due, il terreno assicurava durante l’anno la produzione di due tipi di cereale, spesso frumento ed orzo, e quella di una leguminosa come la fava, i ceci, i piselli, ecc. Tra l’altro, all’epoca i contadini avevano notato che un cereale seminato dopo una leguminose produceva maggiormente; più tardi, nel XVII secolo, fu scoperto il ruolo dell’azoto nell’aumento della produzione. I benefici per i contadini ed i consumatori erano la riduzione del rischio che un cattivo raccolto di un’annata provocasse una carestia e l’introduzione nella dieta delle proteine dei legumi. Insieme, poi, ad un migliore sfruttamento del terreno, questa soluzione permetteva una maggiore disponibilità di foraggio utile per alimentare buoi e cavalli adibiti ai lavori agricoli. La “Piantata” fu un’altra innovazione tecnica di esemplare rilievo; diffusasi soprattutto nel settentrione, si tratta (ancora oggi è presente specie nella valle padana) di un’alberatura, circondata da un fossato, allineata ai bordi dei campi, cui si appoggia le piante di vite che hanno perciò la possibilità di allungare i propri tralci da un albero all'altro. Le viti, perciò, risultavano “maritate” ad un sostegno vivo, in genere all’olmo, all’acero, al salice, al pioppo, ai gelsi e più raramente ad alberi da frutto, come il ciliegio ed il pero. I vantaggi di questo sistema erano quelli di potere coltivare nello stesso campo diverse specie; in pratica tra i filari venivano seminati cereali, leguminose o altre colture erbacee, mentre lungo i filari l’uva, i frutti degli alberi tutori e le foglie che spesso venivano raccolte ancora verdi per essere destinate all’alimentazione invernale degli animali della stalla o ai bachi da seta, nel caso del gelso. 

In definitiva, l’agricoltura che si praticava ai tempi di Dante apportò notevoli benefici un po’ per tutti gli europei. I cambiamenti che avvennero furono molto importanti e mutarono fortemente la situazione presente nell’Alto medioevo, durante il quale, con riferimento all’Italia, le produzioni agricole, anche a causa delle invasioni barbariche, poggiavano essenzialmente sulla cerealicoltura (con prevalenza di cereali inferiori quali il miglio, il panico, l’orzo e la segale), su una viticoltura localizzata su piccoli spazi e su una presenza sporadica dell’olivo ovviamente esteso soprattutto nel meridione, il tutto destinata quasi esclusivamente a soddisfare il fabbisogno locale; in quei secoli un ruolo importante per l’alimentazione umana spettava alla caccia, alla pesca, allo sfruttamento delle risorse dei terreni incolti e dei boschi, in cui bovini e suini venivano portati a pascolare; specialmente da parte delle famiglie contadine che risiedevano nei villaggi, lo sfruttamento di quelle zone era di vitale importanza per lottare contro la fame e la povertà.

Nel Basso Medioevo, invece, si verificarono trasformazioni non di poco conto; anche le colture tradizionali quali il frumento, la vite, l’olivo, gli alberi da frutta furono gestite più modernamente pure e soprattutto per andare incontro alle maggiori esigenze dei mercati. Venne decisamente meno il ruolo egemone del frumento, che in età romana aveva goduto di attenzioni preferenziali, finalizzate al rifornimento dei mercati urbani, ed incontrarono un maggior favore la segale, l’orzo, l’avena, il farro, la spelta, il miglio, il panìco ed il sorgo: straordinario fu in particolare il successo della segale, vera «invenzione» medievale, che gli agronomi latini conoscevano solo come erba infestante; analoga fu la vicenda dell’avena, messa a coltura nei primi secoli del Medioevo. Al Sud, aumentano le superfici coltivate al frumento della varietà dura (Triticum durum) che di preferenza cresce sui suoli mediterranei e che nei secoli successivi diventerà la preziosa materia prima per confezionare pasta secca a lunga conservazione. Cambiò la destinazione dell’orzo: utilizzato in età romana prevalentemente come foraggio, esso entra con regolarità anche nella dieta degli umani, almeno quelli di ceto inferiore ossia i contadini. Furono anche introdotte nuove colture o se ne potenziarono alcune altre quasi del tutto scomparse: dal sorgo al grano saraceno, alle piante introdotte dal mondo bizantino e arabo in Sicilia e nel Mezzogiorno (riso, canna da zucchero, cotone, agrumi); e poi più tardi il gelso e la bachicoltura che conobbero un forte diffusione a partire dal XIV secolo. Lo stesso si può dire di una serie di piante tessili (lino e canapa) e tintorie (guado, zafferano) che si svilupparono per effetto della grande crescita della manifattura urbana. Inoltre si fece strada il fagiolo cosiddetto «dall’occhio», della varietà Dòlico, unica autoctona dell’area mediterranea, il piccolo fagiolo con macchia nera, a cui sul finire del XV secolo si affiancheranno i più grandi fagioli di origine americana. La viticoltura si arricchì di vitigni pregiati e cominciò a produrre per l’esportazione sulle medie distanze; l’olivicoltura iniziò un periodo di lenta ma costante espansione. In alcune aree del Mezzogiorno si sviluppò una frutticoltura (soprattutto frutta secca) destinata all’esportazione. In particolare nella zona della Puglia mediana, si andò a delineare un’agricoltura tendenzialmente specializzata, che puntava sulla costa (Trani, Barletta, Bisceglie) per la produzione di vino e in Capitanata sul grano. Nell’entroterra barese, da Bitonto fino al limite delle Murge, l’olivo si avviò a divenire la coltura dominante, così come in terra d’Otranto. Non mancarono altre colture di pregio: orti in settori specializzati alle porte di Bari, cotone e lino più a sud ad Alimini, gelsi e zafferano a Gallipoli mentre l’allevamento ovino rinnova i ritmi antichi della transumanza che lega il Tavoliere e le Murge alle montagne abruzzesi, molisane, lucane. Sul progressivo arricchimento del ventaglio dei prodotti coltivati influirono in larga misura, le richieste della commercializzazione sempre più differenziata dei mercati urbani.

Ovviamente, la Rivoluzione agricola non si sviluppò in modo esteso, in quanto in varie parti d’Italia, Sicilia, Sardegna e le aree montagnose del Mezzogiorno, il sistema colturale continuò ad essere per esempio quello dell’alternanza grano-maggese, come pure perdurò l’uso del tradizionale aratro-chiodo.

In ogni modo, è indubbio che il forte aumento della produzione dovuto alla Rivoluzione agricola generò un forte incremento nel commercio ed un grande benessere nella popolazione al punto che tra il 1000 ed il 1300 la popolazione italiana si raddoppiò, in Francia, Germania ed Inghilterra addirittura triplicò, ed in tutta l’Europa crebbe da circa 38 a 73 milioni di abitanti.

 

Pasquale Montemurro

Accademico dei Georgofili

già Professore Ordinario Uniba