MEDICI CALABRESI MENO BRAVI? SI COSTRUISCA UN SISTEMA SANITARIO PIU’ EQUO VERSO IL SUD.

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L’Ordine dei medici di Bari esprime solidarietà agli Ordini dei medici calabresi e a tutti i colleghi profondamente offesi dalle parole pronunciate da Susanna Ceccardi, sindaco leghista della Città di Cascina, nella trasmissione di approfondimento giornalistico “Agorà”, andata in onda su Rai 3  il 12 dicembre.

Secondo la Ceccardi è giusto che i medici calabresi vengano pagati meno dei medici dell’Emilia Romagna (dai dati elaborati da Il Gazzettino lo stipendio di un medico emiliano sarebbe di circa 127mila contro gli 81mila di un collega calabrese), perché la Sanità calabrese non è un’eccellenza.
Il ragionamento della Ceccardi tradisce un approccio purtroppo diffuso, che fa ricadere sui medici le responsabilità del malfunzionamento del sistema sanitario, legate invece essenzialmente a ragioni organizzative e gestionali. I medici sono le prime vittime dei disservizi del sistema e sono coloro che con grande dedizione e spirito di sacrificio negli ultimi anni sono riusciti a mettere una toppa alle carenze organizzative per garantire comunque il diritto alla salute dei pazienti.
Tuttavia, l’affermazione del sindaco di Cascina, va analizzata anche da un altro punto di vista, perché spia di una mentalità che da anni premia il Nord e penalizza il Meridione con un’allocazione iniqua delle risorse in Sanità.
 
L’indagine Istat Health for all Italia datata dicembre 2016, confermano l’immagine di un’Italia divisa in due, in cui a sud del Lazio c’è un’assistenza scarsa, i cittadini sono insoddisfatti dei servizi sanitari che ricevono e la spesa sanitaria rispetto al Pil è più pesante.
La qualità del servizio ospedaliero reso ai cittadini ha subito pesanti ricadute negative da un ultradecennale blocco del turnover e dalla conseguente carenza di personale, aggravata in molte aree del sud dalla mancata razionalizzazione della rete ospedaliera.


La spesa sanitaria pubblica pro capite, nel 2014, in Puglia è pari a 1.783€ (contro un valore nazionale di 1.817€ e con un decremento del 3,3% nel periodo 2010-2014). Per un calabrese nel 2014 si sono spesi in media 1.711€ (con un trend negativo del 3,8%), solo 1.689 € per un campano, il valore più basso a livello nazionale, con una diminuzione nel periodo 2010-2014 del 5,7%.

Una disparità confermata anche dai dati Agenas: la spesa sanitaria in Puglia nel 2014 è stata di 7,1 miliardi di euro, mentre a parità di popolazione una regione come l’Emilia Romagna ha speso 8,7 miliardi. E’ vero quindi che la spesa sanitaria pesa di più sul Pil nelle regioni meridionali, ma semplicemente perché si tratta di regioni più povere, che in termini assoluti investono meno nella salute dei propri cittadini, con le conseguenze fotografate dai dati Istat e dai risultati dei LEA. Senza contare due altri fattori, come il peso della cronicità e la mobilità sanitaria.

Al Sud le malattie croniche, che drenano quasi l’80% del fondo sanitario regionale, incidono in maniera maggiore rispetto al Nord, colpendo circa il 40% della popolazione. D’altro lato, la mobilità sanitaria verso il nord crea la situazione paradossale per cui le regioni che hanno un sistema sanitario con più finanziamenti finiscono con il drenare ulteriori risorse a regioni che sono già in difficoltà e hanno una sanità sottofinanziata.
 
La disparità territoriale nella distribuzione delle risorse investite in Sanità deve essere affrontata rivalutando i parametri di attribuzione del fondo sanitario, in modo che le risorse non vengano più assegnate solo in base a fattori demografici come l’invecchiamento della popolazione ma tengano in considerazione anche fattori socio-economici come la povertà e la scarsa consapevolezza culturale.
Altro che pagare meno i medici calabresi! E’ necessario un atto di equità verso le regioni del sud, affinché siano riequilibrati il numero del personale, i posti letto e le infrastrutture tecnologiche.
 
Occorrono maggiori risorse al sud in un rinnovato sistema sanitario pubblico, che superi il localismo e gli sprechi e abbatta le diseguaglianze sociali e territoriali. Non possono essere uguali cittadini che vivono situazioni di deprivazione e si avvalgono di un sistema sanitario più povero. E non è eticamente accettabile che proprio al sud dove c’è una popolazione più giovane e con meno risorse ci siano meno fondi da destinare alle cure.